"
Ma il gran zelo, che io ho per inalzare quanto più mi fia possibile la nobiltà de' Caratteri, de' Geroglifici e de' Segni, che fan l'oggetto della presente mia lettera, mi spinge a ricercarne più addietro l'antichità" R. di Sangro, Apologetica
Chi non conosce la Cappella San Severo? Chi, tra quelli che l'hanno visitata, non è rimasto incantato dal sibillino splendore delle sue sculture? Il Cristo Velato, il capolavoro della chiesa gentilizia di Don Raimondo di Sangro, addirittura lascia l'osservatore senza fiato, tal è la meraviglia del velo marmoreo che, con la sua innaturale trasparenza, lascia intravedere il corpo sottostante del Figlio deposto (1). Non per caso Antonio Canova, pur non essendone l'autore, tentò di acquistare la scultura; non accidentalmente il maestro Riccardo Muti adottò l'immagine per la copertina di un CD del Requiem di Mozart.
L'interesse che la Cappella ha suscitato nei secoli, stimolato dalle leggende metropolitane sorte intorno all'enigmatica figura del Principe, va però ben oltre il valore estetico delle opere ivi conservate.
Gli amanti del sapere esoterico hanno assegnato al Tempietto di Raimondo di Sangro una posizione preminente nel loro vasto universo di luoghi dedicati alla "cultura alchemica": l'annoverano, infatti, tra le dimore filosofali assieme alle Cattedrali di Notre-Dame de Paris e d'Amiens, con le quali tentano di evidenziare i simbolismi comuni interpretati nell'ambito degli insegnamenti iniziatici.
I seguaci delle scienze occulte, alimentandosi dell'ingiuriosa fama di stregoneria in cui è stata avvolta la memoria del Principe, sfruttano la Cappella per diffondere la fama di una
Napoli Noir, città magica al pari di Torino, Praga e Lione.
Gli esperti (anche affermati) di critica dell'arte, trovando più conveniente attingere alle opinioni dominanti anziché lambiccarsi il cervello al fin di chiarire ciò che limpido non è, non palesano dubbio alcuno nel ricondurne le allegorie scultoree nel filone della cultura illuministica radicale e dell'ideologia massonica.
Difatti, oggigiorno, mentre la personalità eclettica e geniale di Raimondo di Sangro appare ammantata d'ombra e riposta in un cantuccio buio della storia, il suo Tempio è stato trasformato in un lapideo manuale del
Corpus Massonicum.
Non sempre è stato così.
Il nome della Cappella, invero, è quello di Pietatella (derivazione popolare di Santa Maria della Pietà) e la sua genesi è in un quadro raffigurante, per l'appunto, una Pietà, con la Madre seduta col Figlio deposto sul grembo, dinanzi ad una croce con una corda penzolante ed una scala poggiata.
Fu il dipinto della Pietà a stimolare, sul finire del XVI secolo, la costruzione del Tempietto. E' tramandato, infatti, che il quadro fuoriuscì dal muro di cinta del giardino di Palazzo di Sangro. Cesare d'Eugenio Caracciolo2 descrisse l'evento nel seguente modo:
"...E' dunque da sapersi, che passando per questo luogo, ov'è hoggi la presente chiesa un uom di nation Ragoseo, che n'andava innocentemente carcerato, e nel passar cascò il muro del predetto giardino nella pubblica strada, e incontanente si vide il Volto Santissimo della Beata Vergine...".
Nel proseguimento del racconto è narrato che il prigioniero ingiustamente accusato fece voto, qualora fosse stata riconosciuta la sua innocenza, di onorare l'effigie con una lapide d'argento. La richiesta fu esaudita e, dopo poco tempo, l'uomo riacquistò la libertà. Il miracolato mantenne fede alla promessa e da quel momento l'immagine sacra, non rimossa dal luogo dov'era comparsa, fu considerata prodigiosa e diventò oggetto di culto.
Altre grazie furono, secondo l'antica tradizione della Cappella, elargite dalla Madonna della Pietà. A lei si rivolse anche Giovan Francesco Paolo di Sangro, primo principe di San Severo e padrone del giardino del muro crollato, gravemente ammalato. Neppure le sue preghiere rimasero inascoltate e, guarito completamente, al pari dell'accusato innocente, il miracolato dimostrò gratitudine ed ordinò la costruzione nello stesso sito di una chiesa la quale divenne, negli anni successivi, meta di pellegrinaggi e sepolcro della famiglia di Sangro. In occasione della prima Messa, celebrata nel sacello il 15 agosto del 1608, papa Paolo V concesse, addirittura, l'indulgenza plenaria a quanti l'avessero visitata.
Al dipinto della Pietà, seppur non più oggetto di devozione popolare, ancora oggi è assegnata una posizione preminente all'interno dell'ex chiesa, essendo esso alloggiato in alto, sulla parete dietro l'Altare, all'interno di una cornice ovale dorata sostenuta da angeli di gesso.
Fu con Raimondo di Sangro, VII principe di San Severo, che la Pietatella assurse agli attuali fasti. L'impegno profuso dal nobile, sia in termini d'energie sia di risorse economiche, fu tale che egli rischiò il tracollo finanziario. Non di semplice magnanimità si trattò perché, è da tutti condiviso l'asserto, il Principe fu il vero ideatore del disegno scultoreo, oltre che il committente dei numerosi artisti che si susseguirono nell'esecuzione del progetto.
L'importanza che il mecenate attribuì all'opera si evince dalle sue disposizioni testamentarie. Nel lascito fu dedicato più spazio alla Cappella che ad ogni altro stretto congiunto. Nelle ultime volontà, con le quali Raimondo di Sangro impose ai discendenti di non alterare il complesso simbolismo insito negli arredi di varie sculture (non modificandone ornamenti, bassorilievi, iscrizioni e nomi), taluni leggono la conferma dell'esistenza di un messaggio codificato, di una comunicazione celata nei veli di pietra delle allegorie del Tempio.
E' opinione comune degli studiosi che, se messaggio esiste, esso è in gran parte trasportato da dodici monumenti, tutti adagiati lungo le perimetrali d'ingresso e laterali dell'unica navata a pianta longitudinale della Cappella. Le dodici statue, collocate nelle medesime coordinate spaziali di profondità e livello, furono appellate con nomi di virtù e stati d'animo: il Disinganno, la Pudicizia, il Decoro, la Liberalità, l'Educazione, la Sincerità, la Soavità del Giogo Maritale, il Dominio di Se Stesso, lo Zelo della Religione, l'Amor Divino, la Mestizia, l'Angelo (che nel seguito chiameremo Meditazione) attribuito all'artista Francesco Celebrano.
L'insieme d'arredi simbolici, con i quali le sculture sono adornate, è di dimensione rilevante; è impossibile, quindi, a meno di non individuare lo specifico database iconologico al quale il Principe si riferì, tentare l'esegesi del complesso monumentale. In effetti, fino ad oggi, compreso il coraggioso tentativo esperito da Lina Sansone Vagni3 di perseguire una traccia d'indagine differente da quella filomassonica dominante, le interpretazioni proposte vagano nei percorsi segnati da concezioni esoteriche basate su convinzioni personali piuttosto che su criteri ermeneutici, zoppicano nelle strade dei maestri che vogliono indicare ai profani le vie da seguire nei cammini iniziatici, sprofondano nelle sabbie mobili delle filosofie sincretiche, precipitano nel vuoto del "non dire perché non si sa" e del "non dire perché non si può".
La Cappella di San Severo, di conseguenza, è ancora un mistero e i veli di pietra del Principe restano saldamente fissati alle sculture del suo Tempio della Pietà.
Io non ho spazio sufficiente, in Episteme, per tentare di sollevare quei veli. Potrò soltanto, nelle dimensioni consone ad un articolo, coerentemente con l'obiettivo che mi prefissai nel proporre l'argomento, insinuare un dubbio sulla natura del velo del Cristo. Non mi esimerò, però, dall'indicare un possibile metodo a chi vorrà cimentarsi nella decodifica delle allegorie della Pietatella.
La via che suggerisco, guarda caso, se ne rallegreranno i curatori della rivista che ospita il presente commento, porta a Perugia.
Pochi esperti delle arti figurative ignorano che in questa città, intorno al 1560, nacque il Cavalier Cesare Ripa, autore di una raccolta d'icone mercé la quale, affermò Émile Mâle,
"si può spiegare la maggior parte delle allegorie che ornano i palazzi e le chiese di Roma".
Quasi tutti i commentatori della Cappella, però, sembrano aver ignorato o sottovalutato un fondamentale indizio: Raimondo di Sangro finanziò una ricca edizione dell'Iconologia di Ripa4, illustrata dall'Abate Cesare Orlandi e stampata in cinque tomi, dal 1764 al 1767, giustappunto a Perugia. Pur quando qualcuno abbia ben tenuto a mente la circostanza, come Rosanna Cioffi5, il fascino esercitato da un Principe supposto filosofo massone ha purtroppo prevaricato il dato oggettivo: quello di un progetto scultoreo fondato sul più convenzionale codice di rappresentazione artistica. Un codice che, parafrasando Émile Mâle, se è valido per spiegare la maggior parte delle allegorie che ornano le chiese di Roma, pur qualche risultato dovrebbe addurre nello studio di una cappella progettata dal mecenate di un'edizione settecentesca dell'Iconologia.
Di là dell'uso che Raimondo di Sangro potette fare degli emblemi di Ripa, se volle avvalersene semplicemente quale "
sorta di codice pittografico per il riconoscimento delle immagini", come afferma Rosanna Cioffi, o quale linguaggio iconografico per la comunicazione di messaggi crittografati [* - Nota di Redazione], come ipotizzo io, una considerazione è incontestabile: tutti i tentativi d'interpretazione delle allegorie delle Pietatella hanno, finora, scavato nel vuoto. L'allegoria, però, tanto insegnò Edgar Wind, similmente alla natura ha orrore del vuoto e, quando in un percorso s'incontra davanti il vuoto, occorre mutare direzione.
L'Angelo di Francesco Celebrano, che suggerisco di chiamare Meditazione perché non ho rinvenuto altro nome nei testi consultati, sembra voler indicare una differente via per la rivelazione degli arcani.
E' quest'Angelo attribuito al Celebrano un monumento, situato immediatamente a destra dell'attuale ingresso del Tempio, che funge da acquasantiera. Esso si mostra seduto sopra un basamento di pietra, col capo reclinato in avanti ed il mento posato sul dorso della mano destra. Col gomito sinistro sta poggiato ad una lapide nella quale sono narrate le gesta di Giovan Francesco de Sangro, l'antenato di Raimondo di Sangro al quale la scultura fu dedicata.
Per l'Angelo ho suggerito il nome di Meditazione per un motivo evidentissimo: la Meditazione è un emblema dell'
Iconologia che si presenta con postura ed atteggiamenti somigliantissimi. A parte i comprensibili arredi funerari, poche sono le differenze dell'Angelo del Celebrano al confronto con la Meditazione di Ripa: esse consistono, essenzialmente, nel fatto che quest'ultima non siede su un tronco di pietra bensì su un monte di libri ed ha un volume in mano.
Che cosa narra l'epitaffio scolpito accanto all'Angelo della Meditazione, epitaffio che appare degno di riflessione, considerata la posa dell'Angelo?
L'iscrizione racconta una storia di guerra tra l'avo del Principe, fedele ad un re spagnolo, ed i francesi nemici del Regno di Napoli.
Non è questo l'unico accenno, nel libro di pietra della Cappella, alle lotte intraprese da antenati di Raimondo di Sangro, fedeli a sovrani spagnoli, contro antagonisti francesi. Che cosa intende significare, questa ricorrenza?
Una più attenta lettura delle sculture potrebbe, alla luce dell'
Iconologia del perugino, spiegarlo. Altre nove statue, delle dodici prima citate, sono indiscutibilmente riconducibili agli emblemi di Cesare Ripa6: la Pudicizia, la Liberalità, l'Amor Divino (in Ripa è
Amor verso Dio), la Soavità del Giogo Maritale (in Ripa è
Benevolenza et Unione Coniugale), la Sincerità, il Decoro, il Dominio di Se Stesso, lo Zelo della Religione, l'Educazione.
Il criterio di decodifica, che suggerisco ai lettori intrigati dai veli di pietra del Principe di San Severo, è quello di una lettura iconografica per particolari, criterio illustrato in un mio precedente lavoro7. Il metodo fonda sul
Circolo Ermeneutico di Schleiermacher, il quale assume che
"...Il senso di una parola in un dato passo deve essere determinato secondo la sua coesistenza con quelle che la circondano... ogni particolare può essere capito solo a partire dall'universale di cui è parte e viceversa". E' evidente che nelle arti figurative, e specialmente in un libro di marmo qual è la Cappella, nella citazione potremo mutare il vocabolo "
parola = segno linguistico" nel sostituto
segno grafico, senza stravolgerne il concetto.
Ed ecco, allora, che Schleiermacher potrà aiutare a comprendere l'undicesimo arcano della Pietatella, un emblema che non si ritrova (se non nel nome, assimilabile al
Dispregio del Mondo) nell'
Iconologia di Ripa: la bellissima scultura del
Disinganno delle Cose Mondane, opera di Francesco Queirolo, che raffigura un uomo che si libera da una rete, simbolo di prigionia nel peccato. Sia pur nelle differenze figurative, anche in tal caso il riferimento all'
Iconologia è immediato: se Ripa rappresentò l'Inganno con una rete in mano8, il Principe fece scolpire un Disinganno che si libera dalla medesima rete.
Il Disinganno, ragionando di veli, è sconvolgente.
Al primo livello di lettura, così com'è esplicitato nella dedica, esso ricorda il padre di Don Raimondo, Antonio di Sangro. Questi soltanto in tarda età, dopo una vita di dissolutezze, si convertì rinunciando ai titoli nobiliari e agli averi e trascorse gli ultimi anni di vita da abate della Cappella.
A livello anagogico il Disinganno si spersonalizza e diventa immagine di una Virtù,
il Dispregio del Mondo a favore delle cose celesti.
Nel livello analogico, però, oltre allo scultore Francesco Queirolo che raffigurò il proprio volto nella statua, nel monumento del Disinganno c'è Raimondo di Sangro.
Volendo rievocare Schleiermacher, l'interprete del Tempio non avrà bisogno, per innalzarsi al livello dell'autore, di ricercare i presupposti oggettivi e formali che agirono nell'inconscio dell'artista durante la fase creativa, oltre il suo intendimento. Il Disinganno è un momento topico della vita dell'autore, se Disinganno l'autore ha vissuto: l'intera sua opera, allora, sarà cosparsa di cotale esperienza di rinnovamento che egli deliberatamente rievocherà, sotto molteplici aspetti in differenti luoghi.
Il Disinganno della Pietatella ha un'incisione nella quale sono fusi più brani biblici (
Nahum 1,13;
Sapienza 17,2;
Sapienza 17, 1...20;
I Lettera S. Paolo ai Corinzi). L'iscrizione riferisce, da notare anche l'assonanza con l'episodio del prigioniero e del quadro fuoriuscito dal muro, un avvenimento di liberazione ed ingresso nel mondo della luce:
VINCULA TUA/DISRUMPAM /VINCULA/TENEBRARUM/ ET LONGAE NOCTIS/ QUIBUS ES COMPEDITUS/UT NON CUM/HOC MUNDO DAMNERIS
(
Romperò le tue catene/prigioni delle tenebre e della lunga notte/dalle quali sei impedito/affinché tu non sia condannato insieme con questo mondo).
Volendo applicare il
Circolo Ermeneutico di Schleiermacher, allora, dal particolare della scultura occorrerà passare all'universale dell'autore, di cui il Tempio è parte.
Nell'universale dell'autore, oltre il marmo, prima dell'
Iconologia di Ripa, c'è la
Lettera Apologetica, la più importante opera letteraria del Principe di San Severo9. L'Apologetica, giudicata eretica dalla Congregazione dell'Indice e censurata, fu difesa a spada tratta dal Principe il quale giunse, pur di difenderne l'ortodossia, a rivolgersi con una supplica a papa Benedetto XIV.
Nella
Lettera Apologetica, come nei tomi dell'
Iconologia perugina finanziati da Raimondo di Sangro, c'è il particolare che spiega l'universale della Cappella.
Scrisse il Principe nell'
Apologetica messa all'indice10:
"Vi parrà forse strana, ben lo veggo, questa ingenua mia confessione; ma pur così è: anzi della stessa sincerità usando vi dirò ancor di più; io discerno ora, e tanto chiaro, quanto il giorno, tutte le sconcezze del mio passato pensare; ciò che è pure un'indubitata pruova del perfetto mio disinganno".
E' innegabile, allora, che il Disinganno delle Cose Mondane, prima ancora di essere rappresentato nella scultura commissionata a Francesco Queirolo, fu realmente vissuto dal Principe e consegnato alle pagine della Lettera Apologetica, la quale fu approvata dai Censori e Deputati della Crusca nel settembre del 1750, almeno quattro anni prima della realizzazione della statua che è databile 1754-1755.
Nella
Lettera Apologetica di Raimondo di Sangro, è logico allora supporre volendo ancora dar credito a Schleiermacher, potrebbe esistere il particolare che spiega il gran mistero della Cappella: il mistero del velo che avvolge il Cristo marmoreo, scolpito da Giuseppe Sanmartino successivamente all'agosto del 1752, quindi due anni dopo la stampa dell'
Apologetica.
E' noto il sospetto, che si sussurra ovunque eccetto che nella navata della Pietatella, dove basterebbe un'analisi (non distruttiva) dei materiali per fugare ogni dubbio: il velo leggero e trasparente, in cui è involto il corpo di nostro Signore deposto, non sarebbe di marmo ma di stoffa finissima marmorizzata. La sua esecuzione, quindi, non andrebbe attribuita a Sanmartino, che si sarebbe limitato a scolpire le forme sottostanti, bensì ad un processo chimico elaborato dal Principe.
La tesi è sposata in numerosi testi.
Vladimiro Bottone, in un romanzo intitolato Rebis, l'ennesimo libello che sembra ideato a bella posta per infangare la memoria di Raimondo di Sangro e dei suoi migliori scultori, un libercolo che nemmeno cito nelle note ad evitare che qualcuno possa volermene per essere stato indotto ad acquistarlo, imbastì intorno al lenzuolo un'indecorosa storiella.
Clara Miccinelli, una giornalista divenuta autrice grazie all'interesse che suscita ogni produzione letteraria concernente il Principe di San Severo, affermò di aver ritrovato un documento dell'Archivio Notarile di Napoli, rogato in data 25 novembre 1752, nel quale Raimondo di Sangro indicò le istruzioni per marmorizzare un velo. Per completezza d'informazione espongo formula e procedimento, disponibili in vari siti della rete:
"Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino. Covri la grata della fornace co' carboni accesi a fiamma di brace; con ausilio di mantici a basso vento. Cala il Modello da covrire in una vasca ammattonata; indi covrilo con velo sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e Calcina. Modella le forme e gitta lentamente l'acqua e la Calcina Misturate. Per l'esecuzione: soffia leve co' mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito. Per quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua e la Calcina. Con Macchina preparata alla bisogna Leva il Modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore Lavori d'acconcia Arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il Sembiante del modello Trasparire".
In qual modo commentare? Grazie al Cielo, nell'inconsapevolezza della natura dello
"spezial tessuto", essendo oramai defunto Giuseppe Sanmartino e non più operante il pensiero del Principe, il Cristo Velato rimane un pezzo inimitabile.
In assenza di prove empiriche, non potendo alla stregua di San Tommaso saggiare il costato del Cristo, al fine d'indagare la possibile natura del velo non resta che una possibilità: seguire i suggerimenti della Meditazione di Ripa, che pensa stando seduta su una pila di libri, e dell'Angelo di Celebrano, che a sua volta specula assiso sulla pietra. Con un'avvertenza: ogni processo di comprensione dell'Opera altrui si presenta come compito infinito e può esser dato per certo soltanto in termini probabilistici, fintantoché ogni nuovo elemento scoperto s'incastra nello scenario raffigurato. L'interpretazione, a mio parere, rimane quindi un atto di fede, più o meno verosimile, che soltanto al limite si consegue con sicurezza.
Il primo quesito da sciogliere concerne i campi d'indagine e le conoscenze del Principe di San Severo. Possedeva egli la scienza per produrre un marmo sintetico, quarant'anni dopo che J. F. Böttger aveva individuato la giusta alchimia per ottenere la porcellana dura? E' possibile che Raimondo di Sangro, forse come Böttger alla ricerca della pietra filosofale, abbia potuto scoprire una sostanza speciale, abile se spalmata a divenire impalpabile e trasparente come un velo tessuto, in grado di liquefarsi e solidificarsi alla stregua di una cera, capace di fondersi indissolubilmente con una materia sottostante? Fu egli, in definitiva, in grado di attuare l'antico motto dell'alchimia
"SOLVE ET COAGULA"?
In relazione alla capacità del principe-scienziato di produrre sostanze sintetiche, non esistono dubbi di sorta. Numerosi mastici e stucchi, di sua invenzione, ancor oggi sono esposti nella Cappella. Ancora visionabile è, soprattutto, una porzione del rivestimento che, sino alla fine dell'ottocento, ricopriva il suolo della navata. Il pavimento, figurato con un motivo a labirinto, presentava un cordone di marmo bianco che si sviluppava, continuo e privo di giunture, per centinaia di metri all'interno di tarsie marmoree policrome. E' comunemente accettata la tesi che il Principe formò la striscia bianca con una sostanza originale la quale, versata allo stato fuso in apposite canaline, si rassodò realizzando il cordone di marmo artificiale.
Sulla capacità di produrre tessuti speciali, è Raimondo di Sangro stesso a testimoniare, nella
Lettera Apologetica (11), sull'invenzione di un Pekin partenopeo di color bianco:
"...nel nuovo e gran ritrovamento del Bianco senza corpo alcuno; di che finora Ritrovator non v'è stato. Si fa questo color bianco, la cui bianchezza è tale, che sovrasta ogni altra candidezza, da due limpidissime acque né corrosive né acide, le quali col mescolarsi insieme arrivano in istante a giusta consistenza di ricotta. Molti valentissimi Fisici, che han veduta una tale sperienza, ne sono rimasi altamente sorpresi; e appunto questo impalpabile color bianco è quello, che perfetto cotanto ha fatto il suo Pekin Partenopeo(12)...".
Si dilettò, il Principe, di lavorare in maniera originale anche la lana, al fine di figurare i più vari Personaggi:
"Un'altra spezie di tappezzeria di lana non tessuta, ma soprapposta, che in Germania, e in Inghilterra si lavora, non solamente si è contentato d'imitare..., ma all'ultima sua perfezione l'ha pur condotta col sospignerne l'arte di lavorarla infino a figurare... ogni specie di Personaggi13...".
Rimane l'ultimo nodo da sciogliere. Era in grado il Principe, con le sostanze e coi tessuti ideati, di formare un velo, candido e trasparente, bianco ed impalpabile, col quale ricoprire "...
la statua di marmo al naturale di nostro Signor Gesù Cristo morto, involta in un velo trasparente pur dello stesso marmo, ma fatto con tal perizia, che arriva ad ingannare gli occhi de' più accurati osservatori; e rende celebre al mondo il giovine nostro Napolitano Signor Giuseppe Sanmartino (14)...!?
Nella
Lettera Apologetica, Schleiermacher ne sarebbe esaltato, c'è la risposta al quesito:
"Degno sopra ogni altra cosa da lui ritrovata è lo scherzo di sua propria mano formato in un quadro lavorato di lana alla sua maniera rappresentante una divota Immagine di nostra Donna, nella sua maggior parte ricoperta da sottilissimo velo, il quale, quantunque finto sia, e con la divisata Immagine insieme formato, pure ad ingannare arriva anche i più ben avvisati Riguardanti, parendo loro da quella distinto e sovrapposto...conciossiaché finora non havvi Persona che professi o no l'arte del dipignere, che caduta non sia nel divisato inganno, non potendosi nel vederlo, trattenersi dall'impeto naturale di muoversi a sollevarlo (15)...".
La testimonianza, perché fornita dall'Autore stesso, è incontestabile: già nel settembre del 1750, mese nel quale l'
Apologetica fu "certificata" dall'Accademia della Crusca, due anni prima della certa datazione del Cristo Velato, Raimondo di Sangro possedeva la scienza per formare un velo, apparentemente sovrapposto e distinto dalla materia sottostante, di fatto formato insieme con la divisata (cioè separata) immagine.
L'immagine velata di "
nostra Donna" fu donata a Carlo III e da questi allogata a Palazzo Reale, nella propria stanza da letto. Del quadro, almeno per quanto a mia conoscenza, si sono perse le tracce. Nondimeno è stato oscurato il passo testé citato, che ne narra la realizzazione: sebbene il brano sia chiaramente esposto nell'
Apologetica, nonostante il testo sia, per quanto concerne l'inganno che il velo induce negli osservatori, incredibilmente simile alla descrizione che Raimondo di Sangro fece del Cristo Velato nella
Lettera a Giovanni Giraldi, non l'ho ritrovato citato in nessuno dei lavori che trattano le opere della Pietatella.
Sorge, allora, veramente il dubbio che le convenienze ideologiche ed economiche che gravitano intorno alla Cappella abbiano, finora, prevaricato il diritto al rispetto della memoria del Principe di San Severo, condannato ad essere per taluni un massone, per altri un traditore della Massoneria16, per i più un negromante.
Quali veli di marmo, allora, occorrerà sollevare per rendere a Raimondo di Sangro la dignità d'eminente pensatore del secolo dei lumi che gli compete? Quali allegorie bisognerà interpretare per restituirgli il decoro?
L'inquietante monumento dedicato all'avo Cecco di Sangro, che incombe da sopra la piattabanda dell'attuale portone d'ingresso alla Cappella, pare essere il più indicato a svelare la verità del Principe.
Cecco di Sangro, che fu scolpito armato di spada e nell'atto di fuoriuscire da un cassone, sembra saperla lunga.
Questa di Cecco, però, è un'altra storia del Principe dei Veli di Pietra.
Lino Lista
Note
* [Si veda anche quanto se ne dice in Stevan Dedijer, "The Rainbow Scheme - British Secret Service and Pax Britannica", Episteme N. 2, 2000:
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep2ded.htm - NdR]
1 - Il presente lavoro, purtroppo, non è corredato di foto. Gli attuali gestori della Cappella, che non sono discendenti in via diretta del Principe di San Severo, rilasciano l'autorizzazione alla pubblicazione delle immagini soltanto dopo aver giudicato l'uso al quale sono destinate. Per le informazioni esposte nel seguito ho ritenuto improponibile la richiesta di un loro beneplacito. Non si possono biasimare: il valore di un capolavoro di marmo, da un punto di vista meramente venale, è immensamente superiore a quello di una scultura alchemica. Poco varrebbe a compensare le perdite, per chi non ne perpetua il cognome, l'elevazione di Raimondo di Sangro al grado di scienziato eccelso. Di conseguenza, a coloro che vorranno gustare la bellezza delle opere che più frequentemente citerò, siccome i link non sono perseguibili per violazione dei diritti d'immagine del settecento (sic!), suggerisco di visionare il sito:
http://www.museosansevero.it/
2
CESARE D'EUGENIO CARACCIOLO,
Napoli Sacra, Napoli, 1624
3
L. SANSONE VAGNI,
Raimondo di Sangro principe di San Severo, Ed. Bastogi, Foggia, 1992
4
RAIMONDO DI SANGRO,
Iconologia del Cavaliere Cesare Ripa Perugino, Stamperia di Piergiovanni Costantini, Perugia 1764-1767
5
ROSANNA CIOFFI,
La Cappella Sansevero. Arte Barocca e Ideologia Massonica, Ed. 10/17, Salerno, 1994
6 Numerosi emblemi, tratti dall'edizione citata dell'Iconologia e purtroppo privi delle didascalie a commento delle immagini, sono disponibili nel sito:
http://www.humi.keio.ac.jp/~matsuda/ripa/catalogue/ripa_illus_html/043k0001w.html
7
LINO LISTA, "Il Mistero del Vino di Cana", in
Episteme n. 7, Perugia 2003. L'articolo, nel quale è esposto il cosiddetto criterio ermeneutico mosaicale, è disponibile all'indirizzo:
http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep7/ep7-cana.htm
8 Per osservare l'Inganno:
http://www.humi.keio.ac.jp/~matsuda/ripa/catalogue/ripa_illus_html/043k0299w.html
9
RAIMONDO DI SANGRO,
Lettera Apologetica dell'Esercitato Accademico della Crusca contenente la Difesa del Libro Intitolato Lettera d'una Peruana per rispetto della supposizione de' Quipu..., Napoli, 1750
10
Leen Spruit (a cura di),
Lettera Apologetica..., di Raimondo di Sangro, Alos Edizioni, Napoli, 2002, pag. 75
11 Si annota che Raimondo di Sangro, nel corso di una lunga nota dell'Apologetica nella quale descrisse le proprie invenzioni, discusse di se stesso in terza persona, con l'appellativo d'Autore
12
Ibidem, pag. 180
13
Ibidem, altre pagine
14 La descrizione del Cristo Velato, effettuata dallo stesso Principe di San Severo successivamente alla realizzazione della scultura, è tratta dalla quarta delle Lettere che il nobile inviò a Giovanni Giraldi, membro dell'Accademia della Crusca e suo amico. L'intera corrispondenza è nell'opera:
R. DI SANGRO,
Lettere del Signor Raimondo di Sangro Principe di Sansevero sopra alcune scoperte chimiche indirizzate al Signor Cavaliere Giovanni Giraldi Fiorentino, Napoli 1753
15
Leen Spruit (a cura di),
op. citata, pag. 180-181
16 E' noto che Raimondo di Sangro, divenuto massone e Gran Maestro nel 1750, a seguito della Bolla di Scomunica promulgata da Benedetto XIV e dell'Editto antimassonico di Carlo di Borbone, consegnò al sovrano le liste dei Liberi Muratori aderenti alle Logge del Regno e, appena un anno dopo l'adesione, ripudiò la Massoneria. In una famosa Epistola al Papa, commentando gli avvenimenti, il Principe scrisse: "
...Ma alla perfine dall'ottimo, e Prudentissimo nostro Re, cui più che ogni altro sta a cuore la quiete dei Popoli, e la volontà del Pontefice, talmente è stato a quest'affare provveduto, che ne sarà senz'altro per perire fin anche il nome presso dei Napoletani, né potrà mai ripullularvi".
Riconoscimenti: Al mio amico Lino Barberio che mi educò, per primo, all'arte di leggere e collegare i Segni dell'Antico Libro.
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