Il Movimento Letterario dei Poeti Nauseati
RECENSIONI
La Nouvelle Nausée di Cristiano Sias
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La Goccia
La pallina di vetro
rotola sul ghiaccio
e non vuole l'amore.
Lei vorrebbe che fosse il contrario
finché non arriva il sole.
Così morirebbe correndo
giovane goccia di gennaio
luccicando cristalli
carezzata dal vento.
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La "goccia" è la
poesia.
Il gennaio del 2005 coincideva con l'apertura della ricorrenza del centenario della nascita del teorico dell'esistenzialismo Jean Paul Sartre.
Si ricorda di quel periodo un'interessante rappresentazione a Milano di "Le Troiane", un adattamento del classico di Euripide che il filosofo scrisse sull'onda emotiva suscitata in lui dalla guerra d'Algeria. Da qualche parte su internet lessi che "Euripide, dopo avere scritto l'Ecuba, ritornò sul tema della guerra peloponnesiaca perché profondamente colpito dal deterioramento dello scontro tra gli armati, dal progressivo disperdersi di sentimenti come la pietà, il rispetto per i vinti o la moderazione. Al loro posto si andavano invece affermando strategie fatte di massacri indiscriminati, città rase al suolo, cieca violenza. Il filosofo autore de
La nausea scorse nella tragedia greca sconvolgenti lampi di attualità riferiti alla posizione che la Francia aveva assunto verso la sua colonia posta sull'altra sponda del Mediterraneo. Ma quei cupi rimbombi scuotono ancora la nostra quotidianità, in luoghi e con esempi di ferocia non distanti - anzi più truci - da quelli euripidei."
Dopo anni, oggi ci si accorge ancora che non sempre l'esperienza del passato e il monito dei grandi procura dei benefici. Evidenza ancor più sorprendente è l'isolamento nel quale si viene a trovare chiunque osi affrontare tali argomentazioni.
Sempre su internet pubblicavo queste considerazioni, dopo aver letto uno dei tanti scritti tristi e falsamente satirici che riempiono altrettanto scoraggianti e confusi siti di scrittura:
"Strana internet: sul mio sito esiste in HP (Home Page ndr) un link a un nuovo movimento nascente che ben si collega a un signorile distacco da quanto ho appena letto. Quello che mi colpisce è che ciò venga mostrato in un'altra HP di scrittura, sotto la veste un po' ambigua dell'ironia più "pericolosa", quella che nasce da motivazioni che mai forse conosceremo nella loro pienezza, e che troppo sovente non albergano in cuori sinceri. Si vorrebbe il Poeta come portatore di verità, e talvolta mi capita di leggere brani ancora più subdoli nella loro parvenza di scherzosa goliardia. Esiste il dubbio che essa sia spalmata per coprire sentimenti meno positivi."
Qualcuno mi scrisse in quella circostanza:
"i liber word dilatano coscienze, bisogna, perciò, imparare ad usare i liber word per quello che possono dare: confronti ed amicizie letterarie. Chi intende andare oltre, costruendosi un mondo a metà tra il reale ed il virtuale attraverso la rete, al 99 per cento sbaglia di grosso. Occorre, anche, che si cominci a ragionare seriamente di una sterzata da dare alla poesia al fine della ricerca di un fine."
Dissi allora che personalmente non vedevo alcun "fine" in quelle esternazioni virtuali e nel loro ripetersi quotidiano, e presi le distanze da quella cultura dell'apparire. In essa c'era "tutto l'uso improprio che, della poesia, si sta facendo ai tempi nostri. Poesia fatta di parole che - si vendono - per comprare qualche cosa (un po' di effimera gloria con vocaboli buttati a caso, un po' di affetto virtuale in rete, una
leadership che dura il tempo di una classifica in Home Page)".
In quel momento le mie parole furono da alcuni volutamente mal interpretate e attaccate e oggi io continuo a non vedere alcuna differenza tra questo "uso improprio" e i "cupi rimbombi" di euripidea memoria. Lo squilibrio tra parole scritte e parole lette ha lo stesso aspetto di un albero tagliato per riscaldare qualche giorno la propria abitazione, senza preoccuparsi delle conseguenze che questo fatto potrebbe avere in un futuro lontano. Potrebbe essere interessante, e forse utopico nella sua semplicità, prendere in considerazione un invito a trasferire maggiormente nel quotidiano significati di tipo universale. Forse, da solo, questo basterebbe a risolvere una gran parte dei mali del mondo.
Diceva Bertrand Russell che a nessuno importerà mai sapere che tra cento milioni di anni il mondo non esisterà più. Forse a molti non importa neanche che oggi ci si esprima con una ciclicità di situazioni e sensazioni, il cui limite sta proprio nel limitato intervallo di tempo nel quale esse vivono e muoiono. Oggi Newton non viene più citato perché "
come sapete, anche nei più remoti spazi celesti, un metro si compone di cento centimetri: ciò è sicuramente molto importante ma voi non lo chiamereste una legge di natura", ma "se gettiamo i dadi, avremo il doppio sei circa una volta su trentasei, Non ce ne stupiamo. Al contrario, se il doppio sei uscisse tutte le volte, noi penseremmo subito all'esistenza di una legge vera e propria. Ci sono molte leggi naturali simili a questa".
Il lasso di tempo di una vita di un uomo fa spesso dimenticare che "quella volta ogni trentasei", potrebbe verificarsi magari "una volta ogni trentasei milioni di anni".
I nostri limiti, e i limiti della scienza e dell'arte stessa, sotto questo punto di vista appaiono evidenti. Se non conosciamo il raggio del cerchio, ci limitiamo a ragionare per quadranti e pixels, decidendo che l'orizzonte è "quello che vediamo".
Credo che il principale problema della poesia sia proprio questa difficoltà dell'uomo contemporaneo di esplorare al di là dei propri orizzonti. Preciso che utilizzo il termine "contemporaneo" tenendo conto del principio sopraesposto della relatività delle leggi naturali. Immaginatevi ora il naufragio di Dante in un isola deserta insieme a un gruppo di aborigeni cannibali, e i loro problemi di comunicazione conseguenti. Quale potrebbe essere il risultato? Forse alla fine tutti potrebbero imparare a leggere e scrivere, ma è più probabile che gli aborigeni finiscano per mangiarsi Dante. Ma che importa, se nel frattempo Dante è riuscito a mettere in una bottiglia e affidare al mare l'ultimo endecasillabo che mancava alla sua opera?
E quindi uscimmo a riveder le stelle
Tutto questo non è molto diverso da quanto sta succedendo oggi con la Net-Poetry, e una parte dell'editoria di consumo, nell'isola del nostro mondo, sia di quello "globale" che di quello "non globale".
Il manifesto della Nouvelle Nausée è stato un altro messaggio in una bottiglia. In questo momento è deprimente, per me, pensare che sia così. La fiducia, e la certezza, che qualcuno prima o poi lo leggerà a gran voce, e che sarà consapevole che moltissimi rideranno di lui, e che usciremo, ancora una volta, a riveder le stelle, mi dà però la forza di lottare per ciò in cui credo.
Oggi forse non abbiamo altra scelta che questa, ma tutti sappiano che "il tempo è nostro amico".
Invito il lettore a non lasciarsi influenzare da quell'istinto sottovalutante, che preclude la visione degli spazi al di là di staccionate poco "appariscenti", e di porre la sua attenzione ai segni.
E a tutti ricordo che la nausea non è che un sintomo.
Attenzione anche agli effetti, che preluderanno allo "star meglio" e ci prepareranno a una nuova era culturale ricca come non mai, a dispetto del dominio mediatico della falsa ricchezza comunicativa, che tende a fare di questo terzo millennio l'epoca dell'essenzialismo parolaio, dogmatico e individuale, e della cultura "in scatola".
Ecco perché parlare di "nausea" oggi, è più attuale e moderno che mai.
("il mondo non ha bisogno di dogmi, ha bisogno di libera ricerca" - Bertrand Russell)
Cristiano Sias
10/9/2005
(tratto dalla raccolta Pesi Sospesi -2008)
"Il nastrino colorato" di Grazia
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Sono stata partecipe di alcuni movimenti da giovincella...altro genere,ma a suo modo era poesia... era vita. Lancinanti mal di stomaco... pensavo: il male è dentro te. Il tempo, gli occhi aperti su di esso consegnano poi altre angolazioni, e comprendi che il dolore è provocato da una grossa spugna che si allarga dentro ad assorbire...
Ecco,ciò per dirvi che se la Nouvelle Nausée "aiuta" a vomitare... questo ingombro sullo stomaco, beh... vi leggerò con infinito piacere e devozione, e al messaggio in bottiglia citato nella pubblicazione di Cristiano Sias... legherò un bel nastrino colorato affinchè spicchi tra le onde di turgido mare.
Grazia
14/9/2005
"Non ho mai letto Sartre" di Marinella Belussi
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La classe, la raffinatezza e l'eleganza nell'esposizione del Manifesto della "Nouvelle Nausée" e del disgusto letterario, colpiscono il lettore, in particolare quello di poca cultura (quale mi ritengo) e tale lo fanno sentire: "Colui che ignora". Non ho letto la "Nausea"di Sartre, di lui so solo che è stato il maggiore rappresentante dell'esistenzialismo francese, che i suoi libri e i suoi articoli esprimono la frustrazione che ogni uomo prova nel desiderare di raggiungere la pienezza e, non potendo, gli rimane l'angoscia della libertà di scegliere tra le possibilità che la vita offre. Non so se era comunista, mi ricordo che scriveva su Liberation, quindi penso di estrema sinistra, ma il senso della "Nausea" credo superi ogni colore politico. Ho letto invece "Il codice Da Vinci" e l'ho trovato un libro di facile lettura, un thriller, un'opera di pura fantasia con frequenti richiami storici. Confesso che mi ha divertito e alleggerito la mente. E' un testo semplice e accattivante, dal mio punto di vista; non credo, essendo l'autore uno storico dell'arte, prima di essere scrittore, che volesse scrivere un trattato storico sul "Codice Da Vinci". Di fatto poi le informazioni in esso contenute possono diventare fuorvianti proprio per "Colui che ignora". Chi sostiene il Manifesto, il suo autore per primo, deve essere rimasto molto disgustato dalla lettura di questo e di altri testi perché, nell'esporre la sua visione che poi lo ha portato alla conclusione di non scrivere più poesia, ma di rivedere, studiare, limare quella già composta, riprende la sequenza del "cryptex" che è propria del racconto. Il codice sta nel cryptex, per scoprirlo bisogna aprirlo, trovare prima la "chiave di volta", intrepretare cifrari numerici, aprire il primo cryptex...per trovarne un altro, e così via..... Ritornando al Manifesto, devo dire che la lettura mi ha fatto bene: primo perché domani vado in libreria e mi compro "La Nausea", secondo perché sono d'accordo con voi nell'esprimere il "pericolo" delle parole scritte e il rischio di costruirsi un mondo tra il reale e il virtuale attraverso internet, terzo ho sentito il disgusto per la falsità virtuale e reale, per il mondo mediatico, per la cultura in scatola. Un disgusto per l'ignoranza (non di chi ignora) ma di chi è arrogante, presuntuoso, incivile, violento, intollerante. La speranza è che se cambiamo nel nostro piccolo, possiamo cambiare le relazioni famigliari, di amicizie, di lavoro e come un cerchio allargare, estendere il "bene".
Marinella Belussi
24/9/2005
"Mi chiamo Eleonora" di Eleonora Ruffo Giordani
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Mi chiamo Eleonora. Sono nata in una sera di primavera. La Mamma mi diceva sempre, ch'ero un miracolo vivente. Ero destinata a morire prima di nascere, invece vivo e canto alla vita: mistero meraviglioso che nonostante i dolori che presenta, merita d'essere vissuta.
La mia libertà si chiama perdono, perché ha spezzato le catene che mi tenevano prigioniera in risentiti ricordi che m'intristivano; perciò nonostante il grigiore del mondo: spero, vivo, canto e trasfiguro la realtà della vita in poesia.
Ricerco un linguaggio semplice, rispecchia la mia personalità ed esprime il mio essere.
Ho un fare molto schietto, amo la gioia, la spensieratezza, le fiabe e le favole, amo tutto ciò che sa di bellezza e di giustizia.
Amo la Vita e l'Amore, la bellezza, i sorrisi e la gioia, le corse e tuffi nell'erba, bagnarmi sotto la pioggia; la montagna e la campagna, scarabocchiare e forse anche un po' disegnare.
Amo la dolcezza e la tenerezza e quel po' di malinconia che ultimamente accompagna la mia poesia.
Eleonora Ruffo Giordani
14/1/2006